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Serpotta ed il topo morto

Domenica, 08 / 08 / 2021  


Alle elementari nessuno ci spiegò chi fosse Giacomo Serpotta, eppure la nostra sgangherata scuola portava quel nome. Situata alle porte del quartiere borgo vecchio di Palermo, la scuola accoglieva perlopiù tutte le giovani e già travagliate anime di una “zona” difficile; molti di questi bambini annoveravano uno o entrambi i genitori in galera. Lasciati alla custodia dei nonni e alla strada, crescevano sbandando pericolosamente. A sette anni sapevano già sputarti da dietro senza che te ne accorgessi, o dare pugni e calci, per il solo gusto di farlo.
In classe solo banchi e sedie malmessi, lontani anni luce dallo scintillio di benessere e opulenza di metodi Montessori e Rudolf Steiner, sembravano volerci ratificare di essere già in Africa, ancor prima che l’Africa traghettasse da noi. Il gesso bisognava chiederlo al bidello, a patto di trovarlo.
Quei muri scrostati e carichi di rabbia rispecchiavano l’abbandono di tanti capolavori a Palermo, proprio come l’Oratorio di Santa Cita, legato ago e filo alla storia del Sign. Serpotta. L’oratorio; uno scrigno barocco di inestimabile bellezza, chiuso per decenni, abbandonato all’ignoranza di amministratori beceri e mafiosi, all’umidità e alla muffa, all’oblio di gattopardesca memoria. Stessa patina anche su di noi..sopra le nostre teste traboccanti di indomiti capelli, ebbene, anche noi opere viventi di quel perpetuo sconosciuto Sign. Serpotta. L’ora d’aria andava consumata in un atrio interno alla scuola. Una palma spelacchiata si ergeva triste e sconsolata, tutt’intorno i resti di cartacce mai raccolte erano la nostra biblioteca a cielo aperto. Il sorriso della maestra “Allegra” (di nome e di fatto), la sua dignità nel volerci erudire nonostante quel vuoto intorno, rappresentavano la sola nota di colore, anzi: di normalità.
Più in là, nell’angolo più ottuso di quell’architettura popolare e popolana, il solito ratto morto. Qualcuno con un legnetto raccolto poco distante si divertiva a martoriarne i resti, segni e testimonianza di un martirio, di un’altra battaglia per la sopravvivenza, notturna.
In quella mattutina lottavamo noi, bisognava salvare almeno la divisa: un improvvisato fiocco (un cappio al collo che indossavano solo i piu docili tra noi), ed il grembiule, di un blu di Persia ormai sbiadito e sfiancato dalla quotidianità e dai troppi lavaggi.

Giacomo Serpotta fu uno dei più grandi scultori al mondo, vissuto tra il 1656 ed il 1732, proprio lì, a Palermo, ma nessuno ce lo aveva detto; anche lui figlio minore di un popolo che è abituato a mortificare ed ammazzare il genio, proprio come si ammazza un topo di borgata.

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