Conoscevo ancora bene Graz. I sontuosi merletti dei palazzi e, sotto ad essi, i tanti poveri dalla mano tesa che insieme all'aria dell'est sfondano i confini della Stiria dalla vicina Slovenia. Dopo sette anni niente sembra cambiato, la città ha l'arte nel sangue. Il moderno sembra andare a passeggio con il folcloristico Bayerische style e tutti e due ti regalano la sensazione di cavalcare due vite distinte e separate.
I musicisti di tutto il mondo mi pare siano accomunati da un'unica nota comune: a fine concerto hanno nuovamente fame. All'una di notte "suonata" devi abbandonare ogni pretesa di palato fino e gradire le nefandezze di un cuoco che sogna già il letto di casa. Il menù (come un ultimo treno preso al volo) prevedeva hamburger con patatine fritte, oppure il fondo pentola di una zuppa d'aglio. Stoicamente ordinai la seconda, mi pareva naturale ed innaturale allo stesso tempo. Se dovevo morire quella notte per quello che avrei da lì a poco mangiato, l'aglio mi avrebbe fatto incontrare la morte da sveglio.
Non morii, ma la zuppa mi tenne parecchio ad occhi aperti. Aperti come il frigo bar dove l'acqua cominciava a scarseggiare, ma poco importava perché finita quella mi sarei attaccato al rubinetto del bagno. Me ne stavo appoggiato alla spalliera del letto e ripercorrevo la strada che mi aveva riportato in quella camera: c'ero io, ed i passi di Lorenz, Wege ed Omri. Avevo frugato dentro la tasca: avevo nome ed indirizzo dell'hotel. È ormai mia abitudine (raccolta negli anni) portare addosso il biglietto da visita dell'hotel. Quando sei in giro di notte, da un qualunque vicolo può sempre arrivarti una botta in testa. La mattina dopo non hai più il marsupio ma solo annebbiati ricordi. Allora il bigliettino può parlare a nome tuo.
La strada quel mercoledì era poco animata, ed i bar dalle vetrine oscurate mostrano poco o nulla delle donne dell'est, quelle dalla pelle che sembra non aver mai visto il sole, quelle stesse donne dell'est che per non molti euro si prostituiscono lì ad ovest. E mentre combattevo la sete ormai nel sicuro della mia camera, con la testa intatta, e una sete che non si spegneva, pensavo a quelle loro povere vite, molto più indigeste della mia zuppa d'aglio.
I musicisti di tutto il mondo mi pare siano accomunati da un'unica nota comune: a fine concerto hanno nuovamente fame. All'una di notte "suonata" devi abbandonare ogni pretesa di palato fino e gradire le nefandezze di un cuoco che sogna già il letto di casa. Il menù (come un ultimo treno preso al volo) prevedeva hamburger con patatine fritte, oppure il fondo pentola di una zuppa d'aglio. Stoicamente ordinai la seconda, mi pareva naturale ed innaturale allo stesso tempo. Se dovevo morire quella notte per quello che avrei da lì a poco mangiato, l'aglio mi avrebbe fatto incontrare la morte da sveglio.
Non morii, ma la zuppa mi tenne parecchio ad occhi aperti. Aperti come il frigo bar dove l'acqua cominciava a scarseggiare, ma poco importava perché finita quella mi sarei attaccato al rubinetto del bagno. Me ne stavo appoggiato alla spalliera del letto e ripercorrevo la strada che mi aveva riportato in quella camera: c'ero io, ed i passi di Lorenz, Wege ed Omri. Avevo frugato dentro la tasca: avevo nome ed indirizzo dell'hotel. È ormai mia abitudine (raccolta negli anni) portare addosso il biglietto da visita dell'hotel. Quando sei in giro di notte, da un qualunque vicolo può sempre arrivarti una botta in testa. La mattina dopo non hai più il marsupio ma solo annebbiati ricordi. Allora il bigliettino può parlare a nome tuo.
La strada quel mercoledì era poco animata, ed i bar dalle vetrine oscurate mostrano poco o nulla delle donne dell'est, quelle dalla pelle che sembra non aver mai visto il sole, quelle stesse donne dell'est che per non molti euro si prostituiscono lì ad ovest. E mentre combattevo la sete ormai nel sicuro della mia camera, con la testa intatta, e una sete che non si spegneva, pensavo a quelle loro povere vite, molto più indigeste della mia zuppa d'aglio.