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Al calar del sipario

Venerdi, 23 / 11 / 2012  


Alla fine le emozioni si sommavano come fotogrammi di un film. C'ero io al pronto soccorso con la schiena da riparare, ed un giovane medico che all'analgesico avrebbe voluto integrare un ticket gratis per il concerto della sera. C'erano i miei compagni musicisti che ballavano al bar degli Africani a La Chaux-de-Fonds. C'ero ancora io, e Paul per le strade di Coira alla ricerca di una zuppa calda prima del soundcheck. C'erano i tecnici, le cui vite imperturbabili e impenetrabili mostrano lo stesso rivestimento dei flight case, forse perché in quel maledetto ruolo non c'è manco la piccola beatitudine che scaturisce dal palcoscenico, e nessuno che, posati gli attrezzi, ti dica con un barlume di luce riverberata negli occhi: "grazie, è stato bellissimo". C'era il pubblico, che come la marea, va e viene. Mi piaceva quell'essere macchina sul palcoscenico e burro per le strade dei posti che visitavo. Da quando il mio atelier vive, ho a mia insaputa cominciato la ricerca di oggetti sparuti. Roba che non stavo cercando. Loro vengono a me, calamitati dalla mia sensibilità, ed io a sua volta vado a loro, come un magnete attratto dalla ricerca di un sentimento di pienezza, che non ho ancora ben contemplato. Quel pomeriggio avevo mollato la fisarmonica sul palco, e con passo felpato abbandonato lentamente il palcoscenico. Questo, come in una foresta tropicale, era una palude di cavi da collegare, fili e radici che al posto di tronchi si aggrappavano a casse, monitor, amplificatori, luci, strumenti musicali. Adesso ero fuori ed annusavo il boulevard come un segugio segue una traccia, cercando di capire cosa potesse offrirmi. Il vecchio della brockenstube (robovecchi) parla solo francese, ed io entrando in quel mondo dimenticato avverto subito l'odore rugginoso del ferro vecchio, dei decenni di umidità che albergava nelle tappezzerie, dell'odore di musica pressata sotto forma di vinile, di vecchi almanacchi, e di animali impagliati che ricordano i pendolari tristi delle stazioni della Svizzera interna. Mi muovevo come su cocci di vetro, cercando in quei pochi centimetri di non scaraventare nulla per terra. Quel vecchio mi aveva accolto come si accoglie la fortuna che entra dalla porta principale. Aveva una gamba offesa e affidava il suo pesante corpo al manico di un bastone di legno. Non ho mai avuto talento per le lingue straniere, ma la gentilezza si traduce e comprende subito, in qualunque idioma. Mi sussurrò come un segreto impronunciabile: "Caro signore, oggi troverà tutto al 50%!". Aveva Il fare di chi aveva vissuto tempi migliori, ma la dignità e la fierezza albergavano ancora in quelle ossa stanche. Quando voglio, io so sorridere, e quel giorno non risparmiai, abbozzai perfino due parole in francese, e partii alla ricerca di ció che non stavo cercando. Come in tutti i negozi di robivecchi, c'è tutto e niente. C'erano vecchi ferri da stiro a vapore, neri, come il pane bruciato, un telefono di bachelite fredda e dura in tinta rosso carminio, due bambole di plastica spettinate di cui una a gambe all'aria probabilmente vittima della morbosità di chi spera di trovare chissà quale lingerie sotto. Ed ancora, un vaso da notte, attrezzi da dentista, tazze da the, da caffè, bicchieri da tavola, da liquore, flûte da Champagne, bicchieri da cocktail, a coppa, a tulipano, a calice, shot, quella grande tavola che li ospitava sembrava la skyline di una moderna metropoli. Volevo essere gentile con quell'uomo e utile alla sua causa, alla sua sopravvivenza. Finsi a me stesso di essere interessato a quello sconto, come un bambino dinnanzi ad un bussolotto pieno di canditi. Ma più mi addentravo, meno riuscivo a trovare qualcosa che fosse plausibile da acquistare, soprattutto agli occhi di quell'uomo, perché non doveva sembrare una buona azione, ma bensì un servizio reso. La vidi. Una piccola bottiglietta smerigliata, dal classico disegno un po' anni 30. Svitai il tappo e avvicinato il naso provai a capire cosa avesse contenuto nel corso di quei decenni. Forse alcool, forse un profumo, acqua al tamarindo, sciroppo d'acero, o forse un potente veleno. Il tappo era color ottone e una volta sollevatolo senti solo odore di polvere. Il tempo aveva spento ogni ricordo. La posai nuovamente come si muove un pezzo vincente sulla scacchiera. Forse prima delle prove, di una cena, di un concerto e di un bis non sarebbe stato intelligente e comodo portarsi dietro quel piccolo delicato oggetto. Avevo deciso, sarei tornato il giorno dopo. Affrettai il passo anche perché il telefono cominciò a vibrare, segno che i tecnici mi stavano cercando per il mio soundcheck. Sfoderai il sorriso delle grandi occasioni e disse all'uomo che nel frattempo sfogliava una rivista di moda anni sessanta: "tornerò domani!". Mi regalò ancora un sorriso, allo stesso tempo una delle due palpebre mezza abbassata sembrò dirmi: "si fa per dire, non tornerai più". Il giorno dopo consumai la colazione come un rituale meccanico e mi avviai verso il negozio, quella palpebra volevo vederla alzarsi, come la saracinesca di un negozio. L'aria era freschissima, ed io nel mare di gente che si muove al mattino sembravo uno che avesse qualcosa di importante da fare. Aperta la porta l'uomo dalle stampelle si mise una mano sulla lunga barba e mi sorrise con curiosità. Andai dritto verso la piccola bottiglia, l'ultimo scaffale sulla destra, proprio dietro... Oddio! era sparita! guardai ancora meglio, ricordavo tutti gli oggetti a lei fratelli, ma di lei proprio nemmeno l'ombra.
"Excusez-moi monsieur,
la piccola bottiglietta qui, era proprio qui, non riesco più a trovarla... "
L'uomo si passo ancora una volta la mano sulla barba: "incredibile" rispose. "Mezz'ora dopo di lei, cinque minuti prima della chiusura, è entrata una giovane donna e l'ha comprata!
è l'unico oggetto che ho venduto negli ultimi 3 giorni!
ma guardi lì, lì in basso ne troverà delle altre."
Finsi di guardare con interesse poi abbozzato l'aspetto di uno che è arrivato secondo sul podio della vita dissi: "non importa.. era destino".
Tornai all'hotel, mi tolsi le scarpe e mi distesi sul letto. Le lenzuola erano fredde e la luce era quella di un quadro di Jan Veermer. Fissando il soffitto ripensai a tutta la storia. A quella donna che in negozio con migliaia di oggetti a disposizione aveva scelto proprio il mio. Che faccia aveva? che storia l'accompagnava, ma soprattutto, cosa avrebbe fatto della piccola bottiglietta? avrebbe accolto un profumo, acqua al tamarindo, sciroppo d'acero, o forse un potente veleno?
Quando mi svegliai ricordai che era tutto vero, e che sul comodino e nella mia vita c'era di tutto, tranne quella bottiglietta.

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